2. INTRODUZIONE

Per poter leggere questo elaborato è forse opportuno avere una chiave di interpretazione che chiarisca alcuni punti che potrebbero restare incompresi. I campi profughi sahrawi della zona di Tindouf, in Algeria, sono particolari in quanto assommano in sé le caratteristiche proprie dei comuni campi profughi come, purtroppo, siamo abituati a conoscere, ma possiedono anche le caratteristiche di un'organizzazione statale articolata su vari livelli e, dagli stessi sahrawi, i campi vengono spesso presentati come facenti parte storica della loro cultura. Spieghiamo un attimo questi aspetti che rendono complessa e spuria la situazione di questi campi, intrisi di cultura arabo-islamica, ma attenti ed interessati all'occidente, conservatori ed innovatori, che bevono il thè tradizionale ed ambiscono alle lattine.
I campi profughi sono stati costruiti a partire dalla fine del 1975 ed ospitano attualmente circa 200.000 profughi provenienti dal territorio del Sahara Occidentale occupate dal Marocco. Questi campi fanno proprie le caratteristiche dei campi profughi in quanto l'economia è completamente di assistenza estera, ci sono vari aspetti di precarietà, taluni volutamente non sanati in quanto interpretati e simbolo di transitorietà per un popolo impegnato in una guerra di liberazione. In quasi 20 anni di queste condizioni di vita dettate dagli aiuti internazionali, ci sono stati momenti drammatici e momenti di relativa tranquillità; oggi, dopo che, in previsione di una soluzione con il referendum previsto nel 1992 e non ancora svolto, gli aiuti sembravano essere sufficienti per un lungo periodo, la stagnazione del presente dovuta al cessate il fuoco e l'allungamento indefinito dei tempi è divenuto insopportabile per molti sahrawi e difficile da sostenere da parte di quei paesi che in questi anni hanno dato un aiuto per far meglio sopportare questo "esilio".
Ma in 20 anni questa popolazione molto attiva e fiera, ha avuto anche necessità diverse dal sostentamento materiale e fisico. Sono nate così le scuole (sviluppate negli anni in diversi gradi) è nata la formazione professionale per uomini e donne e l'alfabetizzazione per gli adulti, sono nati musei, centri di accoglienza per le delegazioni straniere in visita ai campi, si sono sviluppati gli ospedali, i dispensari e tutta l'infrastruttura sanitaria, sono nati i gruppi folcloristici, canzoni, poesie e balli, sono nati molti bambini sahrawi che hanno vissuto questa condizione dalla nascita e che stanno dando vita alla seconda generazione di profughi. Così la Repubblica Araba Sahrawi Democratica si è sviluppata, creando ministeri, organizzazione, uffici, formando funzionari; il tutto sotto la costante minaccia della guerra e la necessita di inviare gli uomini a combattere. Ha prevalso un'organizzazione statale molto burocratizzata, con attenzioni maniacali a certi aspetti e disattenzioni per altri. La condizione in cui è nato questo Stato profugo ha costretto i sahrawi a seguire un modello di tipo socialista, inoltre, alcuni degli aiuti più importanti sono arrivati da paesi come la Libia, Cuba e per una grandissima parte dall'Algeria che già in qualche modo avevano organizzazioni di tipo socialista o comunista.
Non si può dimenticare, inoltre, il luogo dove avviene tutto questo: un deserto dei peggiori, spazzato costantemente dal vento, asciugato dal sole e sgretolato dal freddo invernale, dagli orizzonti più ampi fino a dare inquietudine. In questo posto era necessario sopravvivere fisicamente e psicologicamente ad una guerriglia combattuta ad armi impari e che sicuramente si sarebbe trascinata a lungo. Per questa sopravvivenza era necessario organizzare al meglio possibile questi luoghi, attrezzandoli con acqua e tende, sfruttando le conoscenze del deserto dei nomadi sahrawi e portando avanti costantemente la diplomazia internazionale. In questo processo di organizzazione continua c'è posto per tutti, la noia non esiste, il lavoro fa evitare i pensieri peggiori e lo scoramento. E' stato raggiunto un livello di organizzazione tale da poter far crescere numericamente la popolazione, da far sì che i transfughi (che lasciano i campi per andare a collaborare con il Marocco) siano pochissimi e che la gente dei campi ormai consideri quella terra e quelle tende come un male minore, pur avendo in mente le coste dal Sahara Occidentale.
E' stato fatto un minuzioso recupero delle vecchie tradizioni dei nomadi sahrawi, delle tribù dedite alla pastorizia; in un piccolo "museo" sono riprodotte immagini ed attrezzi di quei tempi ( che risalgono, comunque a meno di cento anni fa). Visitando i campi per la prima volta ed in una stagione mite si ha l'impressione di viaggiare in un sogno: l'ingegno, la resistenza, la saggezza ed i colori che vengono presentati di sé, dalla fierezza dei sahrawi abbaglia la vista, ma se si torna un'altra volta con il caldo e con occhi più attenti non sfuggono gli sguardi di alcuni giovani e le loro domande, non sfuggono le magrezze, la monotonia spezzata dalla visita di questo straniero. Parlando con la gente si capisce, allora, la rassegnazione e la fierezza fuse assieme. I sahrawi hanno lottato contro l'invasione della loro terra da molto tempo, anche prima degli spagnoli, con le armi, la tenacia e la diplomazia e nei campi profughi si respira l'aria del rispetto per questa lotta e dell'attesa di tempi migliori.


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